Acoustic Kitty: quando la CIA arruolava i gatti

Negli anni ’60 agli 007 di Langley venne l’idea di usare i gatti per spiare i nemici sovietici. Ecco com’è andata a finire.

E se il vostro gatto fosse in realtà un agente segreto? Una sorta di 007 con coda e pelliccia, pronto a rivelare i dettagli della vostra vita privata a un servizio segreto straniero? Non è la trama di un nuovo episodio della Pantera Rosa (o di Garfield), ma qualcosa di assai più verosimile: nei primi anni ’60 la CIA addestrò per davvero dei gatti perché spiassero i diplomatici sovietici. Il progetto aveva anche un nome in codice alquanto evocativo: Acoustic Kitty.

 

Il progetto

L’idea, nata nel dipartimento di scienza e tecnologia della CIA, consisteva nell’usare un gatto sfruttando la sua predilezione per davanzali, panchine e pattumiere – per registrare suoni e voci intercettati dagli 007 in ascolto. Assurdo? Fino a un certo punto: agenti in servizio avevano infatti notato una discreta presenza di gatti selvatici nei dintorni dell’abitazione di un capo di stato che volevano “monitorare”, senza che nessuno facesse caso a loro. E poi si sa, i gatti sono curiosi: e nel quartier generale della CIA a Langley si convinsero presto che, una volta addestrati, i gatti sarebbero andati proprio dove avvenivano le conversazioni da captare.

Il miciofono

Per i test, la CIA reclutò un veterinario che impiantò un piccolo trasmettitore radio sul retro del collo del gatto, un microfono nel condotto uditivo e un filo quasi invisibile sulla pelliccia che collegava i due dispositivi. Nella seconda fase il ​​gatto-spia subì un addestramento specifico sui suoni da ascoltare. «Il concetto alla base del progetto Acoustic Kitty era che, a differenza di un dispositivo meccanico di intercettazione, l’orecchio di un gatto ha una coclea, così come l’orecchio umano, che può filtrare i rumori irrilevanti», ha poi spiegato in un’intervista Victor Marchetti, ex ufficiale CIA.

Non dire gatto…

Ben presto vennero alla luce i primi intoppi. Anzitutto le batterie dei dispositivi: i gatti sono di piccola taglia, perciò si potevano utilizzare solo batterie minuscole, il che – negli anni ’60 – non permetteva una lunga autonomia. Altro problema: i gatti sono dei mangioni, e… «gli addestratori conclusero ben presto che non c’era nulla da fare: il gatto avrebbe smesso di “lavorare” non appena avrebbe fiutato qualcosa di appetibile», ha ammesso Marchetti.

Missione fellita

Questo comunque non impedì alla CIA di spingersi fino a testare il micio spione sul campo. La prima missione di Acoustic Kitty consisteva nell’ascoltare due uomini in un parco nei pressi dell’Ambasciata Sovietica a Washington. Ma la sorte non fu benevola: quando il gatto fu liberato, vicino al parco, venne investito da un taxi e morì all’istante, mandando a monte l’operazione. Si dice che questo contribuì alla fine delle sperimentazioni (il progetto fu poi definitivamente interrotto nel 1967), ma forse pesarono di più i folli costi: secondo Marchetti, la CIA aveva speso la bellezza di 20 milioni di dollari per creare i gatti 007.

Top secret

L’Operazione Acoustic Kitty è diventata di dominio pubblico quando i documenti – censurati di molti dettagli anche crudeli – sono stati declassificati dall’archivio di sicurezza nazionale americana nel 2001, esponendo prevedibilmente il più famoso servizio segreto del mondo al pubblico ludibrio. E questo nonostante i documenti declassificati parlassero dell’operazione come di un successo, affermando che “il lavoro svolto su questo progetto nel corso degli anni riflette il grande merito del personale che l’ha condotto, la cui energia e immaginazione dovrebbero essere di esempio per tutti gli innovatori”.

Il rapporto, comunque, non omette alcune delle “complicazioni”: “i fattori ambientali e di sicurezza nell’uso di questa tecnica all’estero – si legge – ci hanno convinto che il programma non si presterebbe in modo pratico alle nostre esigenze altamente specializzate”.

Come dire… È vero, i gatti sono ottimi spioni, ma è difficile addestrarli e, soprattutto, fare loro fare quello che vogliamo noi (come ben sanno tutti quelli che hanno un gatto in casa).

Fonte: www.focus.it