Ai piedi delle Pale di San Martino, in Primiero, le telecamere del Museo delle scienze di Trento (Muse) hanno avvistato una specie rara, mai segnalata prima nel Trentino orientale. Si tratta del gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris), un piccolo felino dall’aspetto simile al gatto domestico soriano.
Più grosso e robusto del cugino che vive nelle nostre case, ha zampe più lunghe ed è di colore variabile, dal giallo chiaro al marrone con strisce o macchie nere. Ha la coda particolarmente lunga e a clava, che termina con due o tre anelli scuri e una punta nera. La netta linea dorsale ha striature a livello della nuca e delle spalle. Le orecchie sono arrotondate con corti ciuffi scuri. Il gatto selvatico misura di lunghezza, compresa la lunga coda, da 60 a 120 cm. L’altezza alla spalla arriva fino a 45 cm. Il peso varia sensibilmente, i più piccoli possono pesare 1,5 kg e quelli più grandi raggiungere i 13 kg. Tuttavia, quasi tutti gli esemplari pesano tra 3 e 6 kg.
Un piccolo carnivoro specializzato nella cattura di roditori
Il gatto domestico è stato addomesticato a partire dal gatto selvatico africano probabilmente 9.000-10.000 anni fa, nella Mezzaluna Fertile (attuale Siria-Iraq), in coincidenza con la nascita dell’agricoltura e del bisogno di proteggere i raccolti dai roditori. Questa sottospecie, infatti, si ciba di roditori (arvicole e topi), uccelli (piccioni e quaglie), lepri, insetti, ragni e serpenti, se affamato può anche cibarsi di prede più grandi. Tende ad avere abitudini notturne, anche se in luoghi poco disturbati si sposta anche la mattina presto o nel tardo pomeriggio. Negli inverni particolarmente freddi con da forti nevicate, piogge e vento, il gatto selvatico può rimanere inattivo anche fino a 28 ore.
Secondo gli esperti, la presenza del gatto selvatico – il secondo registrato in provincia di Trento e primo del Trentino orientale – è una bella notizia per gli ecosistemi del Trentino e delle Alpi in generale, in un ambiente che rimane fortemente modificato dalla presenza dell’essere umano.
“Questa specie misteriosa e affascinante – ha spiegato il ricercatore Marco Salvatori – in passato ha subito una crudele persecuzione perché considerato animale nocivo dagli agricoltori. Dalla metà degli anni Settanta la protezione accordatagli ne ha consentito il recupero demografico, tuttavia la specie ha una distribuzione molto ristretta nell’arco alpino, mentre è stabilmente diffuso lungo la catena appenninica, in Sicilia e in Sardegna”. Il loro ritorno significa dunque che sulle Alpi è finita l’era delle persecuzioni e indica l’aumento dello spazio che l’essere umano sta concedendo a queste specie, della tolleranza della loro presenza, dell’accettazione di una possibile coesistenza. E questa è una splendida notizia”.
Luigi Boitani, tra i massimi esperti di grandi carnivori in Italia e componente del Comitato scientifico del Muse
Una specie fortemente minacciata
I gatti servatici sono sempre stati minacciati per il commercio della loro pelliccia. Gli individui che si avvicinano alle abitazioni, possono venir uccisi da cacciatori, contadini e cani domestici. Le minacce includono inoltre la frammentazione degli habitat forestali, causata da strade, ferrovie, altre infrastrutture, oltre che gli incidenti stradali, l’esposizione a sostanze chimiche agricole tossiche e la trasmissione di malattie da parte dei gatti domestici.
Un’altra minaccia per la specie è costituita dall’ibridazione con il gatto domestico, con la perdita dell’identità genetica e la maggiore fragilità. Questa nuova presenza, concludono gli esperti del Muse e dell’Università di Firenze, è una bella notizia per gli ecosistemi del Trentino e delle Alpi in generale, un nuovo tassello di biodiversità che si inserisce nella complessa rete di interrelazioni degli organismi alpini fortemente antropizzati.
In futuro sarà dunque importante monitorare accuratamente la situazione per appurare la presenza di una popolazione stabile e verificare il suo stato di salute.