Che cos’è un gatto? Lo capisci quando ti viene a mancare

Cos’è un gatto? Stando alla Treccani è un “mammifero domestico tra i più noti e diffusi, appartenente al genere Felis della famiglia felidi”. Ma per noi era Olivia. Olivia è stata il nostro gatto per sei anni. Improvvisamente si è ammalata ed è morta. Senza avvisaglie. Così ci siamo dovuti riadattare a una vita senza gatto.

Che significa non scivolare più lungo i muri per non essere oggetti dei suoi fulminei agguati. Non passare più le ore a chiedersi “dov’è Olivia?” mentre lei dorme nell’armadio fra i tuoi golfini. Non cucinare più come un vietcong, un occhio al risotto e un altro vigile all’indietro, al tavolo apparecchiato. Non preoccuparsi più per il nido di uccellini che una merla ha costruito dentro la siepe. Né per le lucertole portate come trofei in soggiorno. Né per le tende nuove. Significa non dormire a luglio con un essere peloso e caldo appallottolato fra le gambe. Eppure Olivia ci manca. Cucino tranquilla, ma sola, senza quel senso di sfida continuo. Infilo golfini puliti, troppo. Mi sveglio la notte cercandola.

Mentre consolavo mio figlio mi è venuta in mente Esraa. Questa ragazza di Damasco viveva in una tenda in quello che il mondo chiamava campo profughi di Idomeni, ma era una distesa di fango dove migliaia di siriani sopravvivevano intrappolati perché il confine era chiuso. Pioggia, fango, fumi tossici perché non avevano più legna da ardere e quindi bruciavano di tutto: plastica, bambole di pezza dei figli, bottiglie. Era l’inferno in terra. Mentre camminavo in questo campo profughi due anni fa a un certo punto ho visto un gatto. Un’immagine assurda, surreale. Perché il gatto che sbucava dall’igloo di Esraa non era un gatto sporco e malridotto. Era un bel gattone bianco e rosso, pulito e dal pelo lucido, con il suo collarino al collo. Il gatto, che si chiamava Tabboush, nella tenda aveva pure la sua bella cassettina per i bisogni, una scatola di cartone con un po’ di terra, che la sua padrona puliva più volte al giorno. Esraa, studentessa di Architettura della classe media, al momento di chiudere la porta di casa sotto i bombardamenti di Assad ha pensato che non poteva abbandonare Tabboush, lo ha infilato in un marsupio e, con lui, ha attraversato il confine con la Turchia, ha camminato per giorni, è salita su un gommone, è approdata in Grecia, poi in bus fino a Idomeni. E in mezzo a quell’orrore, fra i bambini che giocavano con i rifiuti, ha mantenuto il gatto pulito, nutrito, ben curato. Sembrava un controsenso in tanta miseria. O piuttosto un modo per resistere alla disumanità. Quando tutto precipita, quando sei affamato, privato di tutto, sporco, senza prospettive è lì che tracci un segno e decidi di non valicarlo. E il gatto non lo abbandoni, non lo trascuri, non te lo mangi. Ecco cos’è un gatto.  (fonte ilfoglio.it )

La ragazza di Damasco