fonte: Kodami
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In Italia le strutture veterinarie mobili sono vietate (salvo eccezioni legate a situazioni di calamità naturale) a seguito di una decisione adottata, quasi vent’anni fa, in un accordo fra conferenza Stato Regioni e Ministero della Salute.
Per gestire il fenomeno del randagismo occorre attuare principalmente due attività: corretta informazione e sterilizzazione mirata con esperti che indichino le migliori procedure da effettuare. L’informazione è parte essenziale nel far crescere l’attenzione verso una diversa coscienza del nostro rapporto con cani e gatti, che deve essere costruito sulla base di scelte consapevoli e ponderate, per arrivare alla modifica di tutti quei comportamenti che rappresentano i principali affluenti del randagismo e della detenzione, anche a vita, nelle strutture di ricovero.
Condividere la vita con un animale è un impegno serio e di lungo periodo che deve andare oltre alle mode, ai capricci momentanei o al semplice fattore estetico. Una scelta che richiede una consapevolezza sulle responsabilità che si assumono nel momento in cui si decide di far entrare nelle nostre vite un cane o un gatto, con una valutazione a 360 gradi non solo sui piaceri che derivano da questo rapporto, ma anche e soprattutto sugli impegni in termini di tempo, capacità e conoscenza. Senza tralasciare l’impegno anche economico che questa decisione porta con sé. Un errore di valutazione, un capriccio, una scelta fatta seguendo le mode rischia di finire per aprire al malcapitato animale le porte di un canile o di un gattile, nel quale potrebbe restare impigliato per il resto della sua esistenza.
La seconda attività fondamentale riguarda la prevenzione delle nascite, che si tratti di animali randagi o di proprietà. La fotografia attuale del modo in cui ancora non riusciamo a relazionarci con rispetto con cani e gatti è evidente: cucciolate casalinghe fatte nascere con l’errato convincimento che affidare dei cuccioli sia cosa facile, fatte nascere per scelta o per dar seguito a vecchie credenze che raccontano che per una femmina partorire sia una necessità. Cuccioli che invece nascono per strada, a causa della sconsiderata abitudine di lasciar vagare sul territorio animali non sterilizzati, moltiplicando all’infinito la popolazione dei randagi. Centinaia di migliaia di cani e gatti che vivono in parte liberi sul territorio oppure rinchiusi in strutture di ricovero, spesso pessime, che gravano in termini economici sulle casse pubbliche e quindi sulle tasche dei cittadini. Ma se i soldi sono degli italiani le sofferenze sono tutte degli animali, forzati ospiti di queste strutture, che specie al Sud sono spesso in mano a realtà criminali. Se il randagismo venisse considerato realmente per quello che rappresenta, con tutti i suoi danni diretti e collaterali, dovrebbe essere considerato come un’emergenza meritevole di norme speciali, che possano anche andare a incidere sull’eccessiva libertà lasciata alle persone sul possesso degli animali.
Per contrastare questo modo di non approcciare al fenomeno non servono luoghi di detenzione come i canili, ma piuttosto campagne di sterilizzazione che portino a un contenimento effettivo della popolazione di cani e gatti fertili. Un’attività che soprattutto nel Sud del paese dovrebbe essere fatta in modo capillare, grazie soprattutto a strutture veterinarie mobili che consentano di poter attuare azioni di sterilizzazione e identificazione degli animali in modo continuativo. Superando in questo modo le difficoltà di dover percorrere decine di chilometri per raggiungere un ambulatorio veterinario privato, considerando che su questo argomento la veterinaria pubblica, che fa capo al Servizio Sanitario Nazionale fa acqua da tutte le parti: per carenza di uomini e mezzi, spesso anche di strutture e talvolta anche dell’effettiva volontà di combattere questa battaglia.
Una difficoltà che potrebbe essere superata utilizzando strutture veterinarie mobili, in grado di coniugare agevoli spostamenti sul territorio e presenza capillare con la garanzia di poter garantire il benessere degli animali.
Esempi positivi iniziano ad essercene, ma sono ancora pochi. Un esempio è a Napoli, dove a bordo di un camper dell’Asl 1 i veterinari pubblici girano per le zone della città per dare supporto almeno sul fronte della microchippatura gratuita: Una possibilità di lavoro sul territorio ben nota in molti altri paesi europei e non soltanto, dove queste strutture sono ampiamente utilizzate per attività di sterilizzazione ma anche per l’erogazione di prestazioni gratuite a persone in grave difficoltà economica.
In Italia, invece, le strutture veterinarie mobili sono vietate (salvo eccezioni legate a situazioni di calamità naturale) a seguito di una decisione adottata, quasi vent’anni addietro, in un accordo fra conferenza Stato Regioni e Ministero della Salute. Lo scopo dell’accordo doveva essere quello di una riorganizzazione delle strutture veterinarie private, al fine di uniformare la tipologia di strutture sull’intero territorio nazionale ma questo punto si è tradotto in un provvedimento motivato dalla volontà di evitare una forma di concorrenza giudicata sleale. E ciò avviene in un Paese in cui non esiste per gli animali una sanità pubblica come quella umana, che eroga prestazioni gratuite nelle strutture regionali e convenzionate.
Il comma 4 dell’articolo 1 del provvedimento adottato in materia di strutture veterinarie fra Ministero della Salute e la Conferenza Stato Regioni del 26 novembre 2003 stabilisce, infatti, che:
“Non sono ammesse strutture veterinarie mobili, ad eccezione di quelle per il soccorso di animali feriti o gravi ed utilizzate per lo svolgimento di attività organicamente collegate ad una o più delle strutture di cui ai commi 1 e 2 e devono essere specificatamente autorizzate”.
E’ tempo di rivedere questa limitazione prevedendo invece che l’erogazione di prestazioni veterinarie nell’ambito di attività di sterilizzazione, identificazione e cura degli animali possa avvenire, all’interno di protocolli codificati, anche in strutture mobili purché autorizzate. Ambulatori mobili in grado di garantire la correttezza delle attività svolte, finalizzate al benessere degli animali e con tutte le garanzie per il personale che opera in strutture attrezzate ed appositamente progettate per svolgere quest’attività sul territorio. Consentendo così di riempire un vuoto che impedisce alle associazioni, e non soltanto, di operare attività di prevenzione del randagismo sul territorio, senza nulla togliere alle attività dei veterinari liberi professionisti.
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