“Gli manca solo la parola”: no, chi ha un gatto sa che non è vero!
Quante volte lo abbiamo sentito dire! Ma anche se spesso non lo raccontiamo per paura che ci prendano per matti, abbiamo spesso l’impressione che il nostro gatto ci “parli”. E riusciamo addirittura a distinguere quando ha fame da quando vuole giocare o semplicemente le coccole. A volte sembra addirittura che ci chiami “mamma”. Tranquillizzatevi pure, non siete affatto impazziti, sono i nostri mici che si sforzano di farsi capire da noi.
Per loro funziona come con i cuccioli: se un gatto selvatico, una volta adulto, smette quasi completamente di miagolare, i gatti domestici, rimangono mentalmente dei gattini anche quando crescono e continuano a parlare con noi come farebbero con mamma gatta, chiedendoci cibo o attenzione. Non solo. Imparano ad affinare i miagolii modificandoli a seconda della situazione in cui vogliono esprimere il bisogno di qualcosa: ecco dunque il “miao” dolce e monotono che serve per farsi aprire la porta e uscire, quello pietoso e strascicato di quando comincia a piovere e vogliono tornare in casa, il “miao” di aspettativa quando si prepara il loro cibo e quello di irritazione per qualcosa che a loro proprio non va a genio. C’è, poi, quel dolce trillo che noi esseri umani spesso scambiamo per la parola “mamma”. E’ il suono che emette mamma gatta quando vuole che i suoi piccoli si avvicinino a lei o la seguano, quello che utilizza come saluto quando torna dalla caccia. Lo stesso che usano i nostri beniamini quando ci salutano o ci vogliono chiedere di seguirli: in questi momenti, infatti, i ruoli si ribaltano, e veniamo trattati come cuccioli.