«Non siamo noi a scegliere il gatto, è il gatto che sceglie noi. Ho sempre avuto gatti che sono entrati in casa e si sono rifiutati di andarsene. Quindi in realtà mi hanno scelto, hanno sentito che potevamo andare d’accordo e sono venuti ad abitare con me».
«Un gatto è una gran cosa. La compagnia che dà un gatto è quasi umana, a differenza della compagnia che può dare un cane che pende dalle tue labbra e vuole adeguarsi alla tua volontà. Il gatto è sempre in una posizione dialettica; può condividere quello che stai dicendo, ma può anche non condividerlo. Ha quella sorta di piccola autonomia che può avere un amico nei tuoi riguardi. Certe volte il gatto ti dice: non sono d’accordo con quello che stai facendo, e te lo dimostra in mille modi, voltandoti le spalle ad esempio. La bontà estrema e la posizione dialettica fanno la differenza tra cane e gatto».
«Mi piacciono i gatti guerrieri che lottano per la sopravvivenza, senza un occhio, con mezzo orecchio. A questi gatti bisognerebbe concedere il riposo del guerriero appunto. Trovare un modo. In genere le persone adottano micini piccoli, perché sono graziosi, simpatici. Però avere un gatto guerriero accanto, che con le sue ferite ti dimostra quanto è difficile l’esistenza e quanto è dura la sopravvivenza, credo sarebbe un esempio per chi cerca la vita facile».
Negli ultimi anni della sua vita Camilleri aveva scelto di non tenere gatti in casa. «Non voglio più averne dopo che ho avuto un gatto per diciotto anni», mi aveva confidato con la voce incrinata. «Quando non c’è stato più ho sofferto maledettamente; allora, per egoismo, mi rifiuto di affezionarmi ancora. Però usufruisco dei gatti delle mie figlie, ogni tanto telefono e chiedo: “portatemi un gatto!”. I gatti lo sanno, le mie figlie dicono: “andiamo dal nonno”, loro entrano subito nella gabbietta, mi raggiungono, restano da me tre o quattro giorni felici e beati».
Amavo ascoltare i racconti su Gatto Barone, indimenticabile compagno di avventure.
«Gatto Barone fa parte della mia vita, è stato anche un ottimo consigliere in momenti difficili, era estremamente intelligente. Lo raccolsi in un paese della Toscana. Vidi dei bambini che giocavano a palla, dopo un attimo mi resi conto con orrore che la palla che stavano adoperando era un gattino vivo. Allora presi il gattino – dopo aver un po’ ecceduto su quei bambini, lo confesso. Lo curammo con un amore infinito, e lui si legò a noi di altrettanto amore. Guarì e credo che non si rese mai conto di essere un gatto. Partecipò attivamente alla vita della famiglia, non piangeva mai, per nessuna ragione al mondo. Era una presenza attiva, non passiva, della casa. L’abbiamo molto amato».
Il paradiso dei gatti sarà sicuramente un posto bellissimo.
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