I riti d’autunno dedicati ai morti e le zucche intagliate in Sardegna

“La vita deve fare i conti con la morte e con i morti per continuare a esser tale. I morti sono i segni sotterranei della vita” Luigi M. Lombardi Satriani

Sardegna – La zucca (Sa conca e mortu) e gli asfodeli (S’iscraria), due simboli antichissimi della festa di Is Fraccheras, a Gadoni (Nuoro)

Ad ogni approssimarsi della ricorrenza di Halloween – la popolare festa del 31 ottobre a base di zucche ghignanti, streghe e vampiri – si parla di usanza anglosassone ”trapiantata” in Italia. E’ questo un errore storiografico e culturale che prescinde dal considerare come l’uso delle zucche a scopo rituale connesso al culto dei morti – nel periodo che va dal 31 ottobre al 2 novembre – vanti in Italia una tradizione antichissima. Talmente antica da spingere uno dei più noti antropologi italiani, il prof. Luigi M. Lombardi Satriani, a ritenere che la festa sia in realtà derivata da ancestrali usanze del Sud Italia e di altre località europee approdate negli USA sulla scia dell’emigrazione, e che la sua moderna globalizzazione altro non sia se non un “viaggio di ritorno”. Nel libro Il Ponte di San Giacomo, scritto a quattro mani con Mariano Meligrana, lo studioso registra ad esempio l’antichissima usanza in Calabria, fra l’1 e il 2 novembre, di rappresentare il ritorno dei morti svuotando una zucca e mettendoci dentro una candela. L’esempio calabrese – come vedremo – trova corrispondenze in diversi altri luoghi del Sud e del resto d’Italia. Unica ma fondamentale differenza, fra passato e presente – spiega lo studioso – è che “si è passati da rituali efficaci sul piano simbolico a moderne forme di spettacolarizzazione a sfondo commerciale”.

Proseguendo il nostro viaggio nelle tradizioni del Sud legate alla festività dei defunti ci spostiamo in Sardegna, terra dalla storia ultramillenaria e dal fascino unico. La prima cosa che si scopre è che fra tutti i luoghi d’Italia che vantano la tradizione del culto autunnale dei defunti, è quello che è riuscito a mantenerne più saldamente la continuità nel tempo. Gesti, parole, simboli, pietanze particolari, hanno sfidato i secoli arrivando pressoché intatti fino ai nostri giorni. E fra essi non poteva mancare la zucca intagliata, che si conferma elemento di sicura valenza antropologica nell’ambito del patrimonio culturale popolare del Mezzogiorno e dell’Italia intera, con buona pace degli Halloween-dipendenti.

La festività dei defunti, celebrata anche in Sardegna fra il 31 ottobre e il 2 novembre, ha un rilievo particolare legato alla radicata e antichissima credenza che la morte non sia la fine di tutto, ma solo un cambiamento di stato con l’ingresso delle anime in una dimensione parallela da cui, in determinati momenti, possono uscire ristabilendo un contatto con il regno dei vivi. Rispetto, nostalgia, timore, sono i sentimenti che le persone provano verso i trapassati, emozioni che mostrano una speciale concentrazione nei riti di cui andiamo a parlarvi.

L’omaggio autunnale ai defunti cambia nome a seconda delle aree che disegnano il profilo più antico dell’isola ed è noto anche in molti dei centri più piccoli: in Barbagia, vasta e suggestiva regione montuosa della Sardegna centrale in provincia di Nuoro, la chiamano “Su bene de sas animas” (Il bene delle anime) o “Su mortu mortu”, espressione dall’eloquente significato. In paesi come Sorgono e Tonara, ad esempio, le somiglianze con Halloween – riscontrabili in riti che però precedono di decenni se non di secoli la diffusione in Europa della festa anglosassone – sono davvero impressionanti, tra zucche intagliate e illuminate e bambini vestiti di stracci che girano per le case chiedendo doni. Questo in Sardegna accade da sempre e non certo sulla scia modaiola del “dolcetto o scherzetto”. Se ci spostiamo poi nel Campidano, la più vasta pianura della Sardegna – situata nell’area sud-occidentale dell’Isola, fra le provincie di Cagliari, Carbonia-Iglesias e Oristano – scopriamo che la festa prende invece il nome di Is animeddas (le piccole anime), mentre nell’Ogliastra, territorio della Sardegna centro-orientale, è conosciuta come Su Prugadòriu (Il Purgatorio), evidente riferimento alle anime che aspirano al Paradiso. Altri nomi, che variano a seconda delle zone, sono Su Candeleri, Sas Animas, Su Peticoccone, Is Panixeddas.

I papassini o pabassinos, chiamati anche pabassinas o papassinos, sono i dolci sardi tipici della festa di Ognissanti e del giorno dei morti.

simbologia funebre assegnata al cibo passa soprattutto attraverso i dolci: tipici i pabassinas, fatti da un impasto di pasta frolla e uva passa (pabassa), mandorle, noci, scorza di agrume grattugiata, miele e vincotto (saba) e destinati soprattutto ai bambini che girano per le case chiedendo offerte per i defunti. Nella tradizione dolciaria di questi giorni, elemento base in Sardegna è la saba, uno sciroppo dolce ottenuto dalla cottura del mosto che, come fa notare la scrittrice sarda Claudia Zedda, “regala ai dolci un colore scuro, quasi nero di terra, in perfetta armonia cromatica con il periodo che ci si accinge a festeggiare”, suggestivo colore che ritroviamo nel rustico dolce detto pane ‘e saba, condito con uva passa, mandorle, noci e pinoli. Sull’isola, come in altri luoghi d’Italia dove vigono tradizioni analoghe, i cibi che più di altri vengono associati ai defunti, oltre alle fave, sono le noci, le nocciole, le mandorle, le castagne, il grano e la melagrana.

Da notare l’abbondanza di semi. Non è un caso: come scrive ancora Claudia Zedda “i festeggiamenti vanno di pari passo con un appuntamento fondamentale per il calendario agricolo: la semina. Grano appena seminato e morti in comune hanno qualcosa di molto importante: il grembo della terra che li accoglie e la speranza di nascere e rinascere al più presto possibile. Non sembra strano dunque che “andai a biri is trigu” (andare a vedere il grano seminato) fosse frase campidanese che si riferiva al morire: l’agricoltore di ieri sapeva con certezza che proprio i morti erano in grado di controllare e garantire il felice esito del raccolto. Rabbonirseli era cosa più che intelligente.” Al termine della loro vita – osserva Zedda – gli esseri umani, come i semi, sembrano inerti, ma una volta tornati nel grembo della terra ci si augura che presto tornino a ‘germogliare

LE ZUCCHE DEI MORTI E IL RITO DI “IS FRACCHERAS” A GADONI

Allo stesso modo non sfuggono le analogie riscontrabili nell’utilizzo rituale delle zucche: anche in Sardegna, come in diverse altre località italiane, ritroviamo le zucche svuotate, intagliate  a mo’ di teschi con espressioni tenebrose coerenti con l’immaginario popolare della morte ed illuminate da una candela. La zucca che per gli inglesei è Jack O’Lantern, in Sardegna è da sempre  “Sa conca ‘e mortu” (il teschio). Una delle località sarde in cui la ritroviamo, per di più all’interno di un contesto, a nostro avviso, particolarmente significativo sotto il profilo della matrice culturale di questi riti, è il paese di Gadoni, piccolissimo borgo della Barbagia, in cui la festività dei defunti si identifica sopratutto con il rito detto “Is Fraccheras”

Il momento centrale del rito consiste nel dar fuoco a lunghe fascine di asfodelo che gli uomini più energici portano a spalla correndo per le vie del paese, spargendone le ceneri (chiaramente di buon auspicio) ed evitando che le fascine si spengano. L’abilità consiste nel riuscire a rientrare con la fascina consumata quasi del tutto. E’ importante soffermarsi un attimo sulla pianta utilizzata, una liliacea dall’alto stelo e dalle caratteristiche fioriture bianche tipica dei prati soleggiati, dei terreni montuosi con rocce affioranti e di quelli soggetti a pascolo. Nella tradizione dell’antica Grecia era associata proprio ai defunti, al punto da essere piantata sulle tombe: Omero, nell’Odissea, lo definisce una pianta infera, e quando nei culti greci si ripartì l’Oltretomba secondo i meriti acquisiti da ognuno durante la vita terrena, esso fu diviso in tre parti, una delle quali – i Prati di asfodelo –  spettò a coloro che non erano stati nè cattivi nè buoni, praticamente una sorta di Purgatorio ante litteram. Interessante anche quanto riporta il latino Plinio, il quale riferisce come ai suoi tempi l’asfodelo si piantasse davanti alle case di campagna per tutelarsi dai sortilegi negativi; e in effetti per i romani, che lo chiamavano Hastula regia, cioè scettro, l’asfodelo era espressione di una potenza superiore.

Questo ci fa intuire quanto antico possa essere il rito sardo di Is fraccheras e con esso anche l’uso della zucca intagliata, detta Sa conca e mortu, ottenuta asportandone la polpa e scavando dei fori a forma di occhi, naso e bocca. Nello stesso giorno del rito essa viene infatti sistemata su vecchi muri bui o sui davanzali delle finestre, non prima di aver aggiunto all’interno una candela che le conferisce l’aspetto suggestivamente macabro che tutti conosciamo, finalizzato anche qui a simboleggiare le anime del Purgatorio tornate fra i viventi. Qualcuno però in Sardegna pone la zucca in relazione ad un’altra antica usanza dell’isola, quella del rito pagano di Maimone, dio della pioggia, che veniva invocato utilizzando ritualmente dei crani veri presi dalle necropoli, poi sostituiti da zucche.

Il rito di Is fraccheras ha una preparazione complessa: per costruire le lunghe fiaccole – ritenute strumento per illuminare il cammino alle anime dei defunti prossime a lasciare il paese ed i cari a cui hanno fatto visita – la gente di Gadoni si attiva alcuni giorni prima del 2 novembre per andare a raccogliere l’asfodelo (S’iscraria) nelle campagne vicine al borgo. Gli steli della pianta vengono legati attorno alla ferula (Sa feurra, i cui legnosi fusti nell’antichità erano attributo dei seguaci di Dioniso), creando dei fasci lunghi dai 2 ai 4 metri. Nella fascina si inseriscono anche steli, molto infiammabili, di cosiddetta Canna pudescia, fino a raggiungere un diametro fra i 30 e i 50 cm. Il tutto viene legato con robusti steli di Si sterzu (Clematis vitalba) o con dello spago.

Is fraccheras si svolge la sera del 2 novembre, ma la ritualità comincia già dal giorno precedente con una lunghissima sequenza di campane a morto (l’agonia). La mattina del 2 poi il parroco celebra nel cimitero la messa della commemorazione dei defunti, dopodiché soffermandosi su ogni tomba, recita una serie di preghiere dette Is assoluziones. Un tempo era uso mettere sulla croce delle tombe una ghirlanda di pervinca (proinca), abbellita con fiori di carta colorata, non essendo novembre periodo di fioritura della pianta. Nel pomeriggio, poche ore prima che iniziasse il rito col fuoco, il parroco soleva andare di casa in casa  per raccogliere offerte in denaro o cibarie (frutta secca, patate, dolci, ecc.) destinate pro sas animas (per le anime dei morti).

fonte : www.famedisud.it