Il Gatto e l’Imperatore di Giada
Il Gatto arrivò a passi lenti: sinuoso, si pavoneggiava. Mostrava i suoi denti aguzzi in un sorriso soddisfatto: il pelo lungo e fulvo danzava al ritmo del vento leggero che lo accarezzava. Si trovava ormai a poca distanza dall’albergo: solo un ponte su una gola profonda lo divideva dal luogo in cui l’Imperatore di Giada sarebbe venuto a prenderlo. Guardava di sottecchi le due ali di folla che gli si aprivano ai lati mano a mano che avanzava. Erano animali del bosco e della steppa, delle valli e dei campi, delle paludi e delle montagne. Tutti erano venuti a tributare gli onori al Gatto, ad applaudirlo, a rendergli omaggio. E lui se la prendeva tutta quella gloria. Le notizia si era diffusa in un baleno in tutte le lande della Cina. Tutti gli animali sapevano che l’appuntamento avrebbe avuto luogo in un albergo, fino ad allora sconosciuto, situato nella valle più alta della Cina. Era estate, la temperatura era ottima e un piacevole tepore scaldava la valle mentre il sole splendeva alto fra le montagne. Il Gatto ormai aveva superato il ponte ed era giunto trionfante davanti all’ingresso, dove una grassa iena si spendeva in continui inchini e salamelecchi.
“Benvenuto nel mio umile albergo” ripeteva a capo chino digrignando i denti in una risata isterica “Per me è un grande onore ospitare l’incontro fra lei e l’Imperatore di Giada”.
Il Gatto intuiva che l’albergo era tutto tranne che umile. Il Topo gli aveva anticipato che si trattava di uno dei più lussuosi edifici della Cina: lastricato d’oro, con fontane da cui sgorgava il latte e con vasche colme di miele, l’albergo nella valle ad un passo dal Cielo era il posto ideale per un simile appuntamento. Il Gatto ignorò la iena e non si degnò di salutarla: non capiva come un posto così idilliaco potesse essere diretto da una bestia talmente laida. Senza ulteriore indugio entrò a testa alta e chiese:
“Dove si trova la mia dimora?”
Una schiera di altre iene servili si mosse all’unisono in direzione di una maestosa scala. Abbassando lo sguardo invitarono con dei gesti il Gatto a seguirle. Dopo alcune rampe il Gatto si trovò davanti ad una grande porta che, una volta spalancata, si aprì su una stanza lussuosa e amplissima. Il Gatto intravide un terrazzo sul lato opposto alla soglia. Gli venne spontaneo correre verso il balcone fino ad affacciarsi per godere di quello spettacolo naturale meraviglioso. Boschi lussureggianti vestivano i lati della montagna che si alzavano sulla valle colma di animali festanti. Il Gatto si dispiacque un po’ di lasciare questo mondo, ma fu solo un fugace pensiero. Subito l’orgoglio di essere stato scelto dall’Imperatore di Giada si impossessò della sua mente e del suo corpo, tanto che il suo pelo si ingrossò rendendolo ancora più maestoso.
Ora si trattava solo di attendere. Mancavano poche ore e poi sarebbe potuto ascendere al Cielo insieme agli altri undici animali, scelti dall’Imperatore di Giada per mostrare alle altre divinità del Cielo le stupende creature che abitavano la Terra. E il Gatto era uno di quei dodici. A lui, il più bello fra gli animali, il Sovrano di tutti gli dei avrebbe dedicato un anno del calendario. Certo, ce ne sarebbe stato uno per ciascuno dei dodici eletti, ma lui sarebbe stato il primo, il più importante. Come si poteva solo pensare di paragonarlo alla sciocca Gallina o al timido Coniglio! Alla stupida Capra o al viscido Serpente! Alla petulante Scimmia o al servile Cane. Il Topo, poi, non se lo giustificava. Quale bestia ispirava maggiore ripugnanza del Topo?!? Ogni volta che il Gatto ci pensava, provava ribrezzo e non poteva smettere di chiedersi come mai l’Imperatore di Giada avesse deciso di portare in Paradiso anche quell’essere immondo. Comprendeva la scelta della nobile Tigre o del forte Toro, del temibile Drago o dell’elegante Cavallo. Ma il Topo proprio no! E il fastidio era acuito anche dal fatto che il Sovrano degli dei avesse usato proprio quell’orribile bestia come messaggero della lieta notizia. Fu il Topo, infatti, a rivelare al Gatto la decisione dell’Imperatore di Giada aggiungendo che, essendo il felino la creatura più bella, sarebbe stata chiamata per ultima. In tal modo poteva così ricevere l’applauso degli altri undici animali già raccolti e di tutti gli altri che erano accorsi davanti al magnifico albergo. Sarebbe stato un trionfo! E il Gatto se lo prefigurava leccandosi i lunghi baffi!
C’era però una nota stonata in questa armonia: le iene. Come potevano gestire una simile meraviglia delle creature così lerce e impure?!? Non se lo spiegava. Scacciò il pensiero avvicinandosi alla fontana che troneggiava al centro della sua elegante stanza. Era trascorsa ormai un’ora e cominciava ad avere sete. Il latte che sgorgava dalle cannelle era invitante. Accostò le sue labbra per bere quando avvertì improvvisamente un insopportabile odore. Il latte era rancido. Il Gatto si ritirò con un balzo da quel liquido che stava assumendo un colore giallastro. Spostò istintivamente lo sguardo verso la grande vasca che si apriva nel lato destro della sua stanza. Il miele appetitoso che la colmava si stava trasformando sotto i suoi occhi in melma grigiastra. Il Gatto rizzò tutti i sui peli e corse fuori abbattendo la porta che lo separava dalle scale. Gli scalini lussuosi di marmo che aveva calpestato solo un’ora fa, erano diventati delle tavole sgangherate legate le une alle altre attraverso corde sfilacciate. Le pareti che prima luccicavano d’oro erano state sostituite da muri scrostati e sporchi.
In preda al panico, il Gatto si precipitò lungo le scale che cedevano sotto il suo peso. Riuscì ad arrivare nell’atrio per un soffio: l’albergo si stava accartocciando su se stesso come un castello di carta pesta travolto dalle raffiche di vento. Il Gatto balzò fuori un attimo prima che l’edificio si schiantasse in una grande nuvola di polvere. Quando questa si diradò vide davanti a se le iene che si rotolavano a terra sbellicandosi dalle risate. Gli altri animali, dietro di esse, stavano svanendo: le loro immagini sbiadivano come se si fosse trattato di un incantesimo. Il Gatto fu preda di una terribile furia che lo fece balzare sulla iena più vicina. Nonostante la differenza di stazza sfavorevole al felino, la iena si trovava in una posizione supina, appiattita dalle zampe del Gatto puntate sul petto dell’immonda bestia. Le fauci del furibondo animale stavano per chiudersi sul collo della iena, quando un accecante bagliore squarciò il cielo. Il Gatto arretrò coprendosi gli occhi fino a quando, abituatosi a fatica alla bianchissima luce, riuscì a scorgere fra le nuvole delle figure. Col passare dei secondi quelle immagini divennero sempre più nitide fino a che fu in grado di distinguerle chiaramente.
Una processione di animali stava solcando il cielo, preceduta da una fonte di luce che non si poteva sopportare. Dietro a questa sorta di guida celeste, correvano una Tigre, un Toro, un Coniglio, un Drago, un Serpente, un Cavallo, una Capra, una Scimmia, una Gallina, un Cane e, infine, un Topo seguito da un Maiale. Il Topo volgeva il muso in direzione del Gatto e a questi parve di scorgere dei riflessi di luce uscire dalla bocca del roditore. Il Topo stava ridendo e i suoi denti riverberavano il bagliore prodotto dalla sua guida, che altri non poteva essere che l’Imperatore di Giada. Una collera ferina si impossessò del Gatto che emise un ruggito più forte di quello della Tigre. Furente attraversò il ponte a grandi balzi, ma nulla poté avvicinarlo a quel corteo che si stava allontanando sempre di più, fino a diventare un invisibile punto nel cielo.
Il Gatto si buttò a terra disperato. Si sentì più sciocco della Gallina e più stupido della Capra. Ma ebbe ancora la forza di sollevare il muso verso il Cielo. Fremendo dalla rabbia gridò con tutto il fiato che aveva in gola:
“Topo maledetto! Ti giuro vendetta eterna!”
fonte: chemako-comics.blogspot.com: “Mio rimaneggiamento di un’antica leggenda cinese, alla base della nascita dello zodiaco e dell’ostilità fra gatto e topo.”