Gli antichi Egizi tenevano i gatti in casa e li consideravano “di famiglia”.
Ad alcuni proprio non piace, ma sono molti di più coloro che lo amano. Si calcola che in tutto il mondo ci siano ben 600 milioni di gatti domestici: quasi il doppio degli abitanti degli Stati Uniti! Insomma, è il più diffuso animale da compagnia, eppure su questo felino persiste tuttora un alone di mistero che avvolge l’origine del rapporto con l’uomo, tanto che ancora oggi alcuni studiosi ritengono che questo animale non abbia mai per davvero completato il passaggio da felino selvatico a gatto domestico.
Negli ultimi anni, però, nuovi dati provenienti dalle indagini genetiche e dai ritrovamenti archeologici stanno aiutando a chiarire alcuni dubbi che riguardano la storia di questo affascinante animale:
I primi gatti selvatici. Prove anatomiche e genetiche hanno accertato che l’antenato selvatico del gatto domestico è il Felis libycao, gatto selvatico fulvo (o libico), specie distribuita in ampi territori e che ha almeno tre sottospecie attualmente riconosciute. Confrontando il Dna mitocondriale (di origine solo femminile, ossia matrilineare) e brevi sequenze di Dna nucleare (le microstelliti) delle specie di gatti selvatici eurasiatici e mediorientali del genere Felis (F. silvestris, F. bieti, F. libyca ornata, F. libyca cafra, F. libyca libyca) con il Dna di 979 esemplari di gatti domestici di tutto il mondo si è scoperto che gli esemplari addomesticati condividono tutti lo stesso Dna, e che quest’ultimo è praticamente indistinguibile da quello dei gatti selvatici mediorientali (Felis libyca libyca), una delle tre sottospecie del gatto selvatico fulvo. Ciò dimostra non solo che il gatto domestico (Felis catus) deriva dai gatti selvatici mediorientali, ma anche che la prima domesticazione è avvenuta proprio in questa regione.
Per alcune specie di animali diffusi in queste regioni, come l’uro (Bos taurus primigenius), la capra selvatica (C. aegagrus) e il muflone selvatico (urial, Ovis vignei), la domesticazione durò appena qualche secolo e permise di avere latte, carne, lana o aiuto nel lavoro dei campi. Per il gatto, invece, è ormai certo che ci vollero migliaia di anni. Carlos Driscoll, che all’Università di Oxford ha studiato approfonditamente anche dal punto di vista genetico la domesticazione, preferisce usare per la fase iniziale dell’avvicinamento all’uomo il termine taming (addestramento) e sostiene che tutto è cominciato per un esclusivo volere del gatto.
Attirati dalle prime “fattorie” che piano piano sorgevano nelle praterie mediorientali, i gatti libici potevano infatti trovare avanzi commestibili tra i rifiuti, catturare i piccoli uccelli come i passeri (attirati dagli avanzi delle granaglie coltivate) ma soprattutto nutrirsi di topi selvatici a loro volta attratti dalle derrate immagazzinate. Al contrario di ciò che succedeva per le altre specie addomesticate che erano tenute lontane dai loro antenati selvatici, però, i gatti andavano e venivano dai villaggi ai territori circostanti e per lungo tempo nella Mezzaluna fertile c’è stato sicuramente un continuo scambio genetico tra le popolazioni di gatti che frequentavano l’uomo e i gatti veramente selvatici.
Geneticamente indistinguibili. Ciò ha reso i gatti domestici molto simili e spesso geneticamente indistinguibili (anche ai giorni nostri) dai loro predecessori, rendendo difficile ricostruire cronologicamente la loro storia, poiché anche i rari resti scheletrici ritrovati nei siti archeologici non permettono sempre una distinzione sicura fra esemplari addestrati, domestici e selvatici. Ulteriori analisi hanno anche rivelato che il Dna mitocondriale, trasmesso solo per via matrilineare, appartiene ad appena cinque aplogruppi diversi, che corrispondono ad altrettante linee evolutive. Il che significa che, alcune decine di migliaia di anni fa, cinque femmine hanno dato origine a tutti i felini che abbiamo attualmente in casa.
Fonte: www.focus.it
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