Prima prova a muovere lentamente una mano, con circospezione: vuole capire quale margine di manovra gli sia rimasto. Poi prova a spostare tutto l’arto, ma viene fermato quasi subito, perché il gatto riesce a triplicare il suo peso rendendo impossibile il movimento. Il gattaro abbandona il tentativo.
Ma, dopo una mezz’oretta, un sentimento di rivolta si fa strada in lui, che si fa forza e si prepara alla ribellione con discorsi del tipo: “Sono io l’umano! Domani devo svegliarmi presto, devo riposare, io! Non posso essere ostaggio di 4 chili di pelo!”. E, come Spartaco, si appresta alla lotta. Trenta secondi, tanto dura la rivolta dello schiavo. I padroni non sono tutti uguali, e la rivoluzione viene sedata in due modi: innanzitutto, con la violenza. Il gatto miagola stizzito e pianta zampe e artigli dove capita. “Da qua non mi sposto”.
L’altro metodo, è quello più subdolo e pericoloso: il gatto diventa molle, invertebrato. “Sono alla tua mercé, sono un batuffolo remissivo. Se vuoi afferrami, anche se sono diventato liquido, e mettimi giù”. Il gattaro lo fa ma, dopo mezzo minuto, il gatto è di nuovo sul letto. Una volta, due volte, dieci volte. La resistenza passiva paga, perché alla fine il gattaro cede e lo lascia dov’è. Il tempo di fare una foto con lo smartphone, e aggiungere la didascalia “Il mio bimbo è pronto per la nanna”. Ma deve scrivere in fretta, il braccio si sta già addormentando. E sarà l’unica cosa a dormire, in verità. Fino a quando continuerete ad abusare della nostra pazienza, gatti? Finché ve lo concederemo. Per il resto delle nostre vite.
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