Per vivere con un gatto..
di Roberto Marchesini
La relazione con il gatto è molto differente da quella con il cane e richiede pertanto non solo una conoscenza sulle caratteristiche etologiche del piccolo felino ma anche una disposizione relazionale assai differente.
Mentre per il cane l’inserimento nel gruppo ha una caratterizzazione prevalentemente operativa – ovvero abilitata ad agire insieme per procurarsi il cibo, difendere il territorio, interagire con gli estranei – per cui le dinamiche di gruppo sono all’insegna della coesività e della collaborazione, nel gatto la relazione sociale è prettamente conviviale e distraente, basata cioè sulla piena individualità e sul rispetto di ampi spazi di libertà.
Cercare nel gatto le dinamiche d’interazione sociale della concertazione operativa, dell’assunzione di ruolo all’interno della squadra, dello sforzo coesivo è di fatto uno stravolgimento del suo stile sociale e quindi rappresenta nel suo complesso un’aspettativa sbagliata da parte del proprietario. Vivere con un gatto chiede pertanto una disposizione relazionale differente rispetto a quella che si ha con un cane e ogni tentativo di assimilare il gatto al cane è un errore che mette a repentaglio la relazione stessa. Spesso si dice che ci sono persone adatte ai cani e persone adatte ai gatti e, per quanto questo stereotipo sia ovviamente un’approssimazione contiene alcune verità. Per vivere con il gatto bisogna non essere morbosi, non desiderare l’obbedienza, saper apprezzare la fantasia, essere in grado di rispettare gli spazi altrui, saper osservare come uno spettatore che in religioso silenzio e senza voler invadere la scena, ammiri l’interpretazione del suo attore preferito. Sì, perché il gatto è prima di tutto un creativo, unico nel dispiegare la sua individualità calandosi all’interno della trama casalinga con una minuziosità incredibile.
Il gatto ci fa scoprire le infinite possibilità declinative della casa con le sue acrobazie, la trasforma in un mondo tridimensionale, la vive con la sua prospettiva così differente dalla nostra. Sono cresciuto con un gatto, si chiamava Fragolino, e da lui ho imparato molte cose ma soprattutto l’arte della discrezione, l’attesa e la capacità di dare a lui l’iniziativa di approccio, la vicinanza svagata con scambio di coccole ma senza richieste o pretese, la bellezza di stare nella stessa stanza ma entrambi compresi in un’occupazione differente.