Diciannove anni fa lo avevano abbandonato sugli scogli. Adottato da chi vive e lavora lì, era diventato una mascotte.
Il suo destino, come quello di ognuno di noi, è già scritto. Molte sono le pagine da riempire per un libro che, alla fine, risulterà lungo 19 anni. Una trama, con tanti personaggi, che avrà un’ unica ed esclusiva ambientazione che, oltre all’intero molo, comprenderà gli spazi nei pressi della passerella (quella vecchia compresa), la zona di Tito, la pizzeria Athos e quella davanti al Teatro Politeama, ambienti dove Ettore crescerà e vivrà tutta la sua vita.
E’ un randagio fortunato che non ha una casa, ma al tempo stesso ne ha cento. Non ha un padrone, ma mille e passa amici che lo sfamano, lo cercano, lo coccolano, lo incontrano, lo salutano. Sono i pensionati che sul molo ogni giorno si ritrovano, “chiacchierano” ed affrontano, con impegno e passione, la tuttologia della discussione. Sono le tante persone che lavorano nelle attività commerciali racchiuse in quel perimetro di pochi metri. Sono i bambini e le bambine che lo incrociano mentre camminano per – come direbbe Enrico Pea – “respirare fogli da mille con cui arricchire la cassaforte dei propri polmoni”. E sono, soprattutto, i pescatori che lo sfamano quotidianamente con piccole parti del loro faticoso lavoro. In questa storia, il compito di rappresentare tutte questi “umani”, spetta ad Alfredo Serni, pensionato viareggino che contribuisce a sfamarlo, lo accudisce, si preoccupa della sua salute e non gli fa mai mancare una carezza.
Attenzione, però, la storia che pare finita, finita non è. Anzi, per certi versi, potremmo dire che inizia adesso. Alfredo, infatti, dopo un ultimo saluto al “gatto dei pescatori”, torna a casa e condivide questa dolorosa esperienza con la propria famiglia, non riuscendo a trattenere le lacrime. Una scena, quest’ultima, che emoziona e coinvolge la figlia Paola Serni che, proprio in quel momento, sente nascere il bisogno di fare qualcosa. E quel qualcosa diventa presto un’idea: rendere omaggio a Ettore con una statua in bronzo da posizionare sul muretto del molo, nel punto esatto in cui aspettava il rientro dei pescatori.
Video : TRG Toscana
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L’amicizia tra un uomo e un animale è il dono più grande del mondo, ma non un dono che noi facciamo loro, è un dono che loro fanno a noi. Questa storia narra del dolore che prova un umano nel perdere l’amico gatto, sta male nel perdere quello che è stato il suo amico per tanti anni, logicamente noi andiamo avanti, anche se continuiamo a vedere quel muso che abbiamo avuto accanto. Ognuno di loro lascia in noi qualcosa di speciale, ci fanno capire cosa significa essere amato, infatti citando le parole di Arthur Schopenhauer: ”Chi non ha avuto un cane (o un gatto aggiungiamo noi) non sa cosa significhi essere amato”.
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